Prologo

Invito a far scorrere titoli e sottotitoli e a soffermarsi sulle immagini prima di addentrarsi nella lettura dei singoli capitoli.

Da 40 anni.
Progettare per studiare, leggere, capire, il disegno della città e del suo territorio.

Prologo

Debellare l’UTOPIA
(neologismo di Tommaso Moro, coniato nel 1516, composto di ou non e topia luogo)
Significa: debellare il NON LUOGO
Significa: debellare la PERIFERIA CANCEROGENA, che invade e annienta tutto.

Premessa 1

“Lo sviluppo insediativo centripeto di qualità è il tema principale attorno al quale si articola la LPT.”

“In sintesi si tratta di guidare l’evoluzione degli insediamenti verso una maggiore concentrazione di abitanti e posti di lavoro in luoghi strategici, … luoghi ben allacciati al trasporto pubblico, dotati di commerci e servizi alla popolazione e all’economia, nonché di punti d’attrazione per attività di vario tipo (culturali, di svago ecc.)

Strategie!

Punto 1:
Considerando che questi “luoghi strategici” si trovano, nella quasi totalità dei casi, dentro i Centri Cittadini e in prossimità dei Nuclei Storici di villaggi e borghi del Cantone, è evidente che è attorno a questi luoghi che si devono definire i nuovi limiti all’interno dei quali densificare.

Punto 2:
Dentro questi “luoghi centripeti”:
– vanno abolite le normative edilizie, soprattutto di Piani Regolatori nati vecchi, presuntamente divine, assurde e inutili, che non hanno mai avuto alcuna relazione con modelli architettonici e urbanistici, che impediscono la contiguità, non permettono di definire lo spazio pubblico (piazze e strade) e non consentono l’uso razionale del terreno (strisce verdi di 4 metri attorno agli edifici non servono a nessuno).
– si devono riaffermare gli elementi strutturali che stanno alla base dei nostri villaggi, borghi e città:

Punto 3:
Si devono ridurre i costi del trasporto pubblico per favorire il ritorno delle persone nei centri.
– Gli anziani già seguono questa tendenza; cedono la propria casa in periferia ai figli o la vendono e vanno o tornano ad abitare il centro con tutte le comodità a portata di mano e una migliore socialità.
– Dapprima i meno abbienti e poi tanti altri seguiranno questa tendenza che permetterà di abbassare notevolmente i costi “urbanistici” (privati e collettivi).
Di conseguenza si abbasserà, notevolmente, anche il moltiplicatore d’imposta.

Punto 4:
Le aree esterne a questi “luoghi centripeti” vanno tenuti in “standby” (modalità d’attesa), in previsione di poter essere dezonati.

Punto 5:
Si dovrebbe definire e incentivare una virtuosa compra-vendita degli indici di sfruttamento (is) per trasferirli dalla periferia all’interno dei nuovi limiti dei Centri e dei Nuclei (centripeti) da densificare.
In Ticino è prassi considerare che un terreno che vale 100, se compero solo gli indici valgono 80, se compero solo il terreno, senza indici, ne vale 30 (80 + 30 = 110).
Se fossi proprietario di un terreno in periferia, magari con una villetta, avrei tutto l’interesse a vendere gli indici in esubero piuttosto che vendere il terreno o parte di esso e vedere costruirci una palazzina.
E’ una forma di dezonamento (parziale) molto più fattibile che l’esproprio.

Premessa 2

Sarebbe fondamentale fare chiarezza sui termini che si utilizzano:
Comune è una entità politica: può essere un villaggio, un borgo, una città, un’aggregazione
(Aggregazione: un insieme di comuni che si sono aggregati in un unico Comune).
Dovremmo sapere cos’è un villaggio, un borgo, una città; ma dobbiamo ricordare che la città non è tale in funzione del numero degli abitanti; si riconosce (definisce) dal tipo di urbanistica.
Un agglomerato è un insieme di territori (villaggi, borghi, città, spazi liberi) che fanno perno su un’entità egemonica (solitamente una città o per lo meno un capoluogo).

L’aggregazione di Bellinzona
Tredici comuni aggregati: due borghi, undici villaggi e qualche nucleo dentro la periferia che è un proliferare di costruzioni disseminate senza ordine né struttura né criterio e che invade e annienta tutto ciò che non è montagna, bosco, fiume; annienta anche i “Centri”.

Bellinzona ha una storia ricca, anche per la sua posizione strategica; già al tempo dei Celti.
Con l’arrivo della ferrovia (1874-1882) aveva scoperto la modernità dell’Ottocento e si era data da fare per trasformare il borgo, fermo all’alto Medioevo, in una moderna città (processo che si è interrotto già allo scoppio della prima guerra mondiale).

C’è una piccola parte di Bellinzona che ha il potenziale per diventare città: è l’area che si trova tra il Dragonato e via Varrone (dove c’è la chiesa del convento del Sacro Cuore) che in un secondo tempo può essere estesa fino a via Vallone (dove ci sono i palazzi opera dell’arch. Bianconi) che fa perno sull’area FFS di San Paolo.
Al centro di questa città: il nucleo medievale, i quartieri ottocenteschi e il grande verde attrezzato (con importanti edifici e impianti pubblici, scolastici, culturali, sportivi e di svago) che si estende dal viale Murate fino al viale G. Motta e dal viale Portone e dal viale General Guisan fino alla golena del fiume Ticino.
All’interno di questa grande area (dal Dragonato a via Varrone, via Vallone) vanno eliminate le normative obsolete e dovrebbero valere i criteri dei Centri e dei nuclei Storici.

– Giubiasco ha il potenziale per diventare un borgo forte; sono da ridefinire i nuovi limiti del Centro dentro i quali densificare.
Giubiasco non ha le caratteristiche topografiche e morfologiche per diventare città.

– Claro, …, Gorduno, Montecarasso, Sementina, Camorino sono villaggi; hanno loro particolari caratteristiche e tipicità; su queste devono puntare; emblematico lo sviluppo recente di Montecarasso.
Anche nei villaggi sono da ridefinire i nuovi limiti dei Nuclei dentro i quali densificare.

– C’è anche un area, tra Giubiasco e Bellinzona che ha il potenziale per diventare un nuovo Centro Civico grazie a una nuova Stazione Tilo ai Saleggi di Bellinzona

Vedi capitolo “Trasporti pubblici
e vedi allegato 1: “Osservazioni relative alla consultazione sul PAB3”

Premessa 3

Ricostruire Campagna                      (x ForumAlternativo, quaderno 34)
L’uomo occidentale ha un gran bisogno di distruggere.
Questa grande capacità sarebbe da utilizzare per ricostruire la “campagna”.
Non sappiamo cosa intendere per “campagna” se non il complementare di “città”.
Purtroppo anche il concetto di “città” ha perso i suoi significati.
Per me, semplificando e reinterpretando la storia, la “città” è luogo di scambio.
Nasce, si definisce, quando le persone che la frequentano e la abitano prendono coscienza di un dato di fatto fondamentale: l’acqua, pulita, per la presenza delle molte persone, si sporca.
Da come si decide di risolvere questo dato, da come si decide di pisciare e cagare in quel preciso luogo, dipende il tipo di “città”, inteso in senso civico e, di conseguenza, anche formale.
In senso civico perché é la prima regola alla quale il cittadino si sottomette, formale perché da come si organizzano l’acquedotto e la fogna dipende il disegno della città.
Tra gli elementi fondamentali che definiscono la “città”:

  1. il Cittadino!
    La persona cosciente del fatto che l’acqua si sporca.
  2. L’infrastruttura,
    primaria quella dell’acqua ma da considerare con la stessa attenzione anche quelle legate all’energia, alla comunicazione, ai trasporti, …. Anche i vari servizi (scuole, ospedali, edifici di culto, case per anziani, negozi, …) sarebbero da considerare come infrastrutture.
  3. Il concetto di limite:
    –  che è implicito nella definizione di “luogo”.
    –  che è connaturale all’infrastruttura; ogni infrastruttura ha il suo limite, se troppo grande o troppo piccola non funziona.
    –  che è esplicito nel rapporto “città-campagna”, rapporto messo in discussione a partire dalla città industriale e borghese dell’800.
    Non a caso il proliferare cancerogeno delle periferie, l’abbandono e la disgregazione del territorio, coincidono con l’eclissi della coscienza di “limite”.
  4. I bambini.
    Sarebbero loro che costruiscono il tessuto sociale!
    Gli adulti cercano relazioni in funzione di interessi personali, diretti, particolari, settari; i bambini no!

I bambini non fanno differenze sociali e di classe e, giocando, nelle strade e nelle piazze, connettono relazioni tra famiglie diverse e costruiscono tessuto sociale.
La “campagna” è il complementare di questa “città” sognata, persa, rifiutata.
Dobbiamo reinterpretare, reinventare, ricostruire la “campagna” per riscoprire la “città”:
una nuova “città”, che sarà di nuovo il risultato di una continua ricostruzione e sovrapposizione in funzione di una ritrovata coscienza civica.
AUGURI

La “CITTA’” (ed il borgo ed il villaggio) può crescere solo quando ci sono limiti precisi, ristretti.

Cresce e si arricchisce grazie alla densificazione, alla sopra-elevazione, alla sovrapposizione, alla sostituzione, alla ristrutturazione, alla ricostruzione, …
Spesso i limiti della città sono rappresentati dalle mura che difendevano dalle bestie feroci e dagli attacchi di tribù ed eserciti nemici, ma era più importante l’aspetto simbolico: dentro o fuori, città o campagna.
Il limite della città si ampliava, si ridefiniva, solo quando aveva raggiunto la saturazione.
Spesso non c’erano le mura ma il limite era dato dalla necessità di preservare la campagna per motivi di sussistenza. Lo stesso discorso vale per villaggi e borghi.

Da quando si è abbandonata la nozione di limite la città è persa, sciolta dentro il mare di periferia cancerogena che fagocita tutto.
Di fatto ci troviamo di fronte ad un nuovo limite: quello economico.
Il nostro modo di urbanizzare non è più sostenibile sul piano economico prima ancora che sul piano dell’uso parsimonioso delle risorse, delle energie e del territorio.

Dentro la città, rispettivamente il borgo e il villaggio, andrà decisa un’altezza degli edifici uniforme.
In punti strategici e per edifici pubblici potrebbero essere concesse delle deroghe che però andranno vagliate attraverso l’esercizio dei concorsi di architettura pubblici e l’esercizio democratico.

Tutto il resto del territorio bellinzonese, esclusi boschi, aree agricole, fiumi e torrenti, è da considerare periferia, da estirpare (contenere).

Sono prevalentemente 3 i fattori che caratterizzano la periferia cancerogena:
– una diversa parcellizzazione rispetto a quella che troviamo all’interno di villaggi, borghi e città (con le antiche parcellizzazioni di prati, campi e pascoli smembrate a tavolino da “geometri”, tramite l’utilizzo, rudimentale, di una squadra);
– una infinità di normative edilizie – soprattutto di Piani Regolatori nati vecchi – presuntamente divine, assurde e inutili, che non hanno mai avuto alcuna relazione con modelli architettonici e urbanistici e di cui si evita di conoscere l’origine e, nella periferia,
– non esiste spazio pubblico, spazio privato e spazio intimo ma solo area pubblica o area privata (attenzione: c’è una grossa differenza tra area e spazio).

Basta una corretta lettura del piano catastale per individuare i limiti delle aree urbane (villaggi, borghi, città) e organizzarne di nuovi.

Normative di cui si evita di conoscerne l’origine

– Per esempio le distanze degli edifici dai confini pubblici. Con l’avvento dell’automobile, 80 anni fa, sono stati distrutti interi quartieri per allargare vicoli e viottoli. Decisero che i nuovi edifici andavano costruiti a distanze che permettessero strade per automobili. Da allora queste norme stanno proliferando per inerzia, indipendentemente dalle strade già troppo larghe. I pianificatori si ingegnano con sempre nuovi criteri, in funzione delle altezze, della lunghezza delle facciate e quant’altro; distanze che impediscono la contiguità e la definizione dello spazio pubblico, perché strade urbane e piazze si delimitano con le facciate degli edifici, non con siepi e muretti e ramine di cinta di “giardinetti” privati.
La distanza degli edifici dalla strada (solo dalla strada) avrebbe senso se quell’area diventasse parte dello spazio pubblico (un marciapiede largo e se molto largo si potrebbero inserire filari d’alberi o aiuole o quant’altro).
– La distanza tra edifici è la conseguenza della paura del fuoco. Non ci si accontentava più del muro tagliafuoco per cui hanno introdotto la distanza minima di 3 metri tra un edificio e l’altro. Di conseguenza hanno iniziato ad inserire finestre sui muri che un tempo erano ciechi con l’effetto di dover aumentare le distanze per salvaguardare l’intimità; e via per inerzia.
– Oggi le distanze minime dai confini e tra edifici si concepiscono anche per avere l’illusione della casa nel “parco” (che, oggi, non è neanche più un giardino ma strisce di 4 metri).
– Nell’inconscio degli “architetti”, queste norme sono accettate volentieri anche perché permettono di considerare l’architettura come “oggettistica”, permettono di esercitare meglio, e su almeno 4 facciate, la brama di formalismo consumistico fine a se stesso.
Questo modo di costruire e abitare esprime il nostro modo di vivere settario, in sintonia con il più sfrenato consumismo.

Distanze dai confini pubblici (strade)

Avrebbero un senso se lo spazio tra l’edificio e la strada diventasse spazio pubblico, marciapiede largo, alberato, anche con posteggi.
Sarebbe opportuno che gli edifici, anche privati, rispettassero lo spazio pubblico; affacciandovisi; meglio ancora se contigui.

La regola della contiguità

E’ semplice: è permesso ogni tipo di espressione e ogni tipo di materiale e di colore, a condizione che la facciata sulla strada o la piazza sia prevalentemente simmetrica. Questo fa sì che la facciata sia finita su se stessa in modo da non esercitare ripercussioni sulla facciata accanto. Se guardiamo i fronti di strade e piazze dei nostri villaggi si vede che, normalmente, l’entrata all’edificio era asimmetrica, ma prevaleva la simmetria del resto della facciata. Solo i monumenti e gli edifici pubblici hanno anche l’entrata simmetrica.
Anche le case borghesi, per esprimere l’autoreferenzialità del proprietario (padrone).

Premessa 4

La regola del villaggio (borgo, città)

L’esempio di Daro

.1 La definizione dell’area (limite o perimetro) dell’attuale Nucleo di Daro è arbitraria a dimostrazione che i pianificatori, i tecnici e i “politici” che l’hanno decisa non conoscono i criteri e le caratteristiche che definiscono un Nucleo o non sanno leggere un piano catastale.
Il nucleo (villaggio, borgo, città) è un’area delimitata, dedicata alla densificazione delle costruzioni, e in contrapposizione con la campagna (campi, prati, vigna, frutteti, pascoli, boschi).
E’ un’area caratterizzata da una parcellizzazione che si differenzia nettamente da quella della campagna.
.2 Le costruzioni del nucleo, spesso contigue, concorrono a definire, in modo preciso, spazio pubblico (strade e piazze), spazio privato (corti, cortili) e spazio intimo (patii, orti e giardini).
I giardini erano spazi definiti, spesso sul retro delle case, non dei resti di superfici tra la casa e lo spazio pubblico (strada o piazza).
Spazi, pubblici e privati, dentro i quali la comunità si identifica.
.3 La densificazione, tramite sopraelevazioni, ricostruzioni, sostituzioni, nuove costruzioni, … è la regola che fa la ricchezza del Nucleo e testimonia la storia, l’evoluzione storica di una comunità.
La contrapposizione tra nucleo e campagna era dettata dalla necessità di sussistenza e da criteri di economia nel rispetto dell’uso parsimonioso delle risorse, dell’energia e del territorio (per risorse e energie si intendono anche quelle umane).
Quando un Nucleo era saturo (difficile da densificare ulteriormente) si procedeva all’ingandimento dell’area; alla sua ridefinizione; secondo criteri di uso parsimonioso.
.4 I Nuclei testimoniano l’evoluzione storica di tipologie abitative, tecniche di costruzione, materiali, …, spesso importati, da altri luoghi o imposti da altri o da convenienza economica (in economia anche la fatica). In allegato un testo di Plinio Martini, Cavergno 1976.
Un tempo le case erano di pietra facciavista, poi hanno cominciato a rimboccarle con la calce, successivamente hanno scoperto l’intonaco, i colori, le decorazioni, …
Oggi intonaci e colori plastici (che schifo) e l’avversione al C.A. che è un materiale bellissimo.
I tetti erano di pietra (piode) che dava buona flessibilità alla forma della copertura ed aveva poco sporto rispetto ai muri delle facciate.
Successivamente hanno introdotto la tegola che ha modificato radicalmente l’immagine del paesaggio, pensiamo ai colori e alle sporgenze dei cornicioni e gronde sporgenti che modificano profondamente il gioco di luci ed ombre sulle facciate.
.5 L’architettura, come la pittura, la scultura, … e prima della scrittura, è un linguaggio.
.1f il pesce.
Era una cosa semplice, primordiale, come la parola: ma, ma, ma, … mamma!
(il tentativo disperato dei pesci)

Per quanto riguarda il nucleo medievale di Bellinzona ricordiamo soltanto che, alla fine degli anni ’60, interi quartieri sono stati rasi al suolo per costruire autorimesse sotterranee, alla Cervia, o posteggi in superfice, in Piazza Mercato, dietro il Municipio.
Uno scempio che accettiamo ignavi da 50 anni.

Quel che resta del Centro Medievale è vissuto solo al sabato mattina, grazie al mercato, e durante il periodo di carnevale; in settimana, di giorno, solo gente che si reca al lavoro, che si ferma per un acquisto o un caffè, che attraversa il centro per andare o tornare dalla stazione, che cerca o deve un’informazione, in Municipio piuttosto che all’ufficio del turismo o alla polizia, e turisti. Alla sera è come se ci fosse il coprifuoco, neanche i turisti, perché nel centro ci abitano pochissimi.

La trentennale esperienza urbanistica di Monte Carasso

Gli obiettivi:

  1. La densificazione del territorio attorno al “nuovo” centro.
  2. Sulla base di una conoscenza precisa della struttura del paese, estremamente differenziata ed eterogenea, si deve tendere alla formazione di un contesto significativo che dia senso ai “monumenti” pubblici, senza il ricorso al controllo formale di ogni intervento privato, già lungamente sperimentato a livello cantonale, tramite la Commissione delle Bellezze Naturali, con risultati deludenti. Da qui la necessità di un controllo pubblico degli interventi, che si limitasse all’impianto tipologico e morfologico del progetto rispetto al contesto.
  3. La riduzione massima del numero di norme, per permettere una più grande libertà di progettazione, in particolare nel settore privato, per evitare norme che rendessero difficili, se non impossibili, interventi di qualità (ciò che è il caso frequente nelle normative adottate sul contesto dell’intero cantone) e per sveltire la prassi di approvazione dei progetti.
  4. La possibilità di verificare di volta in volta l’opportunità delle norme stabilite rispetto alla realtà.

Il nuovo regolamento, oltre alle normative tese alla densificazione (indici di sfruttamento più che raddoppiati, diminuzione (o stralcio) delle distanze dalla strada e dai fondi privati, ecc.) è accentrato su due normative importanti:

  1. “ogni intervento deve essere effettuato nel rispetto della struttura architettonica e urbanistica esistente e comunque nel confronto con la stessa.” La difficoltà d’interpretazione di un tale articolo ha comportato la proposta di una commissione di architetti specializzata nella “struttura del luogo”.
  2. “una norma che permette un controllo degli spazi pubblici, come strade e piazze, e che riguarda i muri di cinta, che nella maggior parte dei regolamenti esistenti, o non sono previsti o sono limitate ad altezze estremamente ridotte (80/100 cm)”.

Questo articolo permette la recinzione dei fondi fino a m.2.50 d’altezza e oltre alla definizione degli spazi pubblici permette di ridare alla residenza privata la necessaria privacy.

Ricostruire la “Campagna” per costruire città (villaggi e borghi).

Ci sarà lavoro per tutti, dal più umile al più studiato.

Ci sono i mezzi (pensate ai costi economici, sociali, ambientali, folli, per come urbanizziamo il territorio; in tutto il mondo).

Una volta su 200 m di strada, con infrastrutture, c’erano almeno 100 appartamenti e, al piano terra, artigiani, negozi e osterie, e bambin* che giocavano in strada.

Oggi, solo per l’equivalente dei 100 appartamenti, ci vogliono almeno 2 km di strade con infrastrutture e km di recinti, uno diverso dall’altro, e km di strisce di “verde”, di 4/5 metri, attorno agli edifici (che costano e non servono a nessuno) e rampe d’accesso ai posteggi interrati e siamo arrivati a una media di 3 automobili per famiglia per andare al lavoro, portare i figli, fare la spesa e per andare a bere il caffè o la birra.

Pensiamo a quanto si può risparmiare!

Le stesse imprese, gli stessi artigiani, operai, impiegati, sia per costruire che per smontare e riciclare.

Distruggere è un’altra cosa.

Tutti gli edifici e le infrastrutture, fuori da nuovi limiti di villaggi, borghi e città, saranno smontati (fondamenta comprese) e tutti i materiali riciclati e depositati in attesa del loro riuso.

Saranno privilegiati i lavori e gli studi che tendono all’uso parsimonioso.

Evidentemente il mito della proprietà privata rappresenta un tabù che mina alla base queste prospettive, soprattutto perché non si vogliono considerare i costi stratosferici di questo tipo di urbanizzazione; di questo sistema consumistico.

La gestione del territorio attuale è tra le cause del disastro ambientale, climatico, economico e sociale.

Fino al 1900 la popolazione viveva, concentrata, nei villaggi, borghi e città.

Il resto del territorio era preservato perché fonte di sostentamento e di biodiversità.

Con il progredire dell’artiglieria militare (1400/1500) il castello perde la sua funzione di difesa e il Feudale si rifugia nella villa dentro un grande parco.

Andrea Palladio, architetto (1508-1580), reinterpretando la villa romana, propone la “villa palladiana” che riscuote un successo enorme e si diffonde in tutto il mondo.

Caduti il feudalesimo e le signorie (apparentemente) se ne sono appropriati i borghesi, poi i piccoli borghesi e anche il ceto medio e anche la classe operaia che non si chiama più così e neanche più proletariato.
In un continuo processo di riduzione le ville sono diventate villette, villini, casine, casette dentro parchi sempre più ristretti che non sono neanche più giardini ma strisce di terra con cespugli, piante, fiori ed anche nanetti stupefatti, circoscritti dai più svariati tipi di recinto con cancello, buca lettere, videocitofono e sofisticati congegni d’allarme.
Una marea (d’illusioni) come di rifiuti che ricopre tutto il territorio.
Democratica espressione di una società settaria, individualista, narcisista, edonista, consumistica, … che si “interroga” sui motivi di tanta solitudine.

Principalmente dopo la seconda guerra mondiale la popolazione (la plebe) abbandona i nuclei storici di villaggi, borghi e città perché li identificava con miseria: gli edifici fatiscenti, i servizi igienici precari, per l’acqua s’andava alla fontana e, soprattutto, un sistema patriarcale asfissiante.

Allettati dal mito della casetta nel giardino, con moderni servizi igienici e la cucina americana, hanno contaminato tutta la campagna. Questo fenomeno è stato accentuato dal mito dell’automobile.

Negli anni ‘60, con lo strumento del Piano Regolatore (PR), hanno tentato di arginare e ordinare quel fenomeno caotico ma sono riusciti soltanto a calmierare le altezze dei nuovi edifici spesso più alti dei campanili.

La struttura fondiaria era molto frastagliata e tutti avevano interesse ad avere i propri terreni in zona edificabie e questo, di fatto, ha rappresentato una straordinaria leva di ridistribuzione della ricchezza (almeno fino alla fine degli anni ’70). Oggi ne paghiamo le conseguenze.

La colpa grave degli “architetti” è di aver delegato tutto ai pianificatori, che non sono urbanisti, ma figli inconsapevoli dei “Piani quinquennali Russi” e lì dovrebbero restare, al calcolo delle quantità.

Come tanti architetti non sanno leggere un piano catastale ma si permettono di emanare una infinità di normative, presuntamente divine, assurde e inutili, che non hanno mai avuto alcuna relazione con modelli architettonici e urbanistici, e di cui si evita di conoscerne l’origine, e che condizionano l’architettura e l’urbanistica e distruggono il territorio tutto.

I pianificatori, e tanti altri, non si rendono conto della differenza tra “Regola” e “Norma”.

La “Regola” è flessibile, aperta, si adatta, accetta di essere trasgredita dal genio.

La “Norma” è rigida e spesso, e di conseguenza, stupida.

Dovendo rispettare questa miriade di norme, l’architettura non è quasi più possibile; al massimo oggetti, dunque “design” che, anche se gli oggetti fossero tutti straordinari, il risultato è lì da vedere: l’effetto discarica, periferia cancerogena.

Dobbiamo riapropriarci del PR e reinterpretarlo, perché ha un grande potenziale, ha la possiblità di ricoinvolgere la popolazione alla prospettiva del territorio.

L’essenza dell’architetto sarebbe di contribuire al disegno del villaggio, del borgo, della città.

Questi 3 elementi hanno regole semplici e comuni:

.1  un limite; dentro si costruisce, si densifica, si sovrappone, si ricostruisce; fuori no!

.2  gli edifici, prevalentemente contigui, definiscono lo spazio pubblico (piazze e strade e per i parchi farei una distinzione), lo spazio privato (corti e cortili) e lo spazio intimo (patii, orti, giardini).

.3  gli edifici, uno vicino all’altro, per risolvere il problema del freddo d’inverno e del caldo d’estate.

.4  la densità nel rispetto dell’economia, dell’uso parsimonioso delle risorse, dell’ambiente e dell’ecologia.

Abbiamo perso il concetto di limite e oggi è tutto periferia (boschi e corsi d’acqua esclusi), cancerogena (non necessariamente perché causa il cancro, è ancora da verificare, ma perché si sviluppa come un cancro), che pervade tutto, nuclei storici compresi.

Attraverso il PR dobbiamo definire i nuovi limiti dei nuclei dei villaggi, dei borghi, delle città e definire le regole per densificare (in funzione centripeta).

… e dobbiamo ricostruire la “campagna”1 per costruire città.

Premessa 5

I PR (Piani Regolatori)

I PR sono stati introdotti, a partire dagli anni 60 del secolo scorso, per contenere gli effetti più deleteri del boom edilizio di quegli anni.
E’ uno strumento che è riuscito a limitare le altezze dei nuovi edifici che tendevano ad essere molto più alti delle costruzioni dei nuclei di villaggi, borghi e città, campanili compresi.
(è sempre opportuno?)
I PR non si sono posti il tema di limitare, ridurre, le aree edificabili.
In questa ottica, di contenimento di aree edificabili, si sono rilevati fondamentali (decisivi) i 2 decreti federali urgenti, quello sulla salvaguardia dei boschi e quello sulle infrastrutture.
Più recentemente le restrizioni sulle vendite di proprietà agli stranieri.

Dalle mie personali ”Osservazioni al Piano Direttore Cantonale”:
“l’abbandono dell’agricoltura nel corso dello scorso secolo” è tra le cause “dell’eccessivo dimensionamento delle zone edificabili dei comuni ticinesi”, ma andrebbe specificato che:
– era nell’interesse di quasi tutti mettere le più ampie aree possibili in zona edificabile. In Ticino, essendo la proprietà fondiaria da sempre molto frastagliata, la compra-vendita di terreni edificabili ha rappresentato una leva formidabile nella ridistribuzione delle ricchezze (1955-1975/1985).
–   Dopo la seconda guerra mondiale, e ancora oggi, i centri e i nuclei storici sono stati abbandonati perché li si identificavano con la miseria. Gli spazi abitabili erano ristretti, i servizi igienici precari, per l’acqua s’andava alla fontana, c’era tanta promiscuità e, soprattutto, una struttura patriarcale asfissiante.
–   nel contempo si affermava il modello della casetta dentro il giardino, con l’acqua in casa, il bagno, la cucina americana, la separazione giorno e notte, il riscaldamento centralizzato.
–   il traffico privato, funzionale al sistema consumistico, ha esacerbato la tendenza alla suburbanizzazione/periurbanizzazione (periferia cancerogena).

I PR si sono limitati a organizzare le proprietà fondiarie (private) e solo in funzione delle quantità.

Anche le attrezzature e gli edifici pubblici sono stati considerati solo in funzione delle quantità e confinati su terreni a basso costo (periferici) invece di pensarli come elementi strutturanti, emergenti in posizione di riferimento strategico.
Solo rarissimamente i PR si sono preoccupati degli spazi pubblici (in pratica: mai).
Solo rarissimamente si sono preoccupati di ridisegnare una parcellizzazione da rurale a urbana.
La gestione dei PR è sempre stata confinata all’attenzione di pochi (pochi politici e pochi funzionari e il tecnico, al servizio di poteri forti).
Si è sempre cercato di evitare il coinvolgimento della popolazione.

“Progetti armoniosi e di qualità?”

(Articolo pubblicato su La Regione)

La buona o la cattiva qualità di una costruzione è una libera scelta di chi costruisce. Se si rispettano i parametri del Piano Regolatore (indici di occupazione e di sfruttamento, altezze, distanze dalle costruzioni e dai confini pubblici e privati) e le Norme Edilizie (sicurezza e igiene) il promotore, pubblico o privato, per legge, è libero di costruire ciò che vuole, anche porcherie. Penso che la maggioranza degli edifici recenti o in costruzione, sono architettonicamente scadenti, per non dire peggio. In realtà la qualità architettonica di un edificio è un problema relativo. Osservando i nuclei storici, per esempio Piazza Collegiata, ci accorgiamo che i singoli edifici sono tutti di qualità mediocre o addirittura brutti, ma hanno la qualità di concorrere, tutti assieme, a definire uno spazio pubblico, in questo caso una piazza. Lo stesso discorso vale per le altre piazze del nucleo e per via Codeborgo, via Teatro, via Camminada, viale Stazione e solo in parte per i viali G. Motta, Gen. Guisan, Portone, S. Franscini e per i quartieri San Giovanni e di via V. Vela. Tutto il resto di Bellinzona è un gran disordine. Una periferia che si sviluppa come un cancro, nella quale non si trovano le qualità dello spazio pubblico dei nuclei medievali e dei quartieri ottocenteschi. Il problema vero è rappresentato dalle attuali normative di Piano Regolatore che impediscono di costruire spazio pubblico (piazze, strade, parchi) come lo conosciamo nel centro storico di Bellinzona e di tutto il mondo. Con le norme in vigore anche il migliore architetto può solo costruire un bel oggetto che, accostato agli altri, crea un insieme di oggetti disordinati, come in una discarica. Il quartiere Delle Semine è emblematico. Una grande area agricola, dedicata alle semine, è stata data in pasto alla speculazione immobiliare senza una minima regola; prima palazzine e casette lungo “antichi” percorsi o sentieri, solo successivamente le infrastrutture; e via a riempire tutto con altri edifici. Dentro questo disordine e stata inserita la circonvallazione tra Giubiasco e Bellinzona che non ha certo contribuito a riordinare il paesaggio, anzi! Ultimamente, dentro questo generale disordine, sono state avvallate scelte pianificatorie assai discutibili; tra queste la variante di PR che ha concesso ad un privato, in via Antonio Raggi, altezze, indici di occupazione e di sfruttamento particolarmente elevati in funzione di un “Centro di Quartiere”. E’ difficile individuare criteri urbanistici che giustificano questa modifica di Piano Regolatore, si possono intuire criteri clientelari. Ma la frittata è stata fatta ed altre sono in preparazione.
Per invertire la tendenza dobbiamo riflettere seriamente sulla necessità di una revisione radicale del Piano Regolatore capace di rispondere alle nuove esigenze di uso parsimonioso del territorio, delle risorse, delle energie e capace di promuovere lo spazio pubblico urbano: piazze, strade, parchi. Siamo in grado di cogliere la sfida?

Renato Magginetti, architetto

Il Masterplan ed il PR sarebbero cose facili da comprendere, soprattutto per persone semplici che sanno osservare, che hanno ancora un rapporto con la terra, che ti guardano negli occhi e ti danno una stretta di mano, soprattutto dopo un confronto sincero.

“Un futuro per il nostro passato: per un’efficace protezione del patrimonio culturale del territorio ticinese”?

(articolo che era stato preparato per essere pubblicato su La Regione)

Questa iniziativa promossa in Ticino da …???… non è solo conservativa, è reazionaria; è addirittura necrofila*, in perfetta sintonia con i movimenti reazionari e fascisti che prima e durante la seconda guerra mondiale hanno combattuto l’architettura moderna e razionalista (l’architettura dei tetti piani) che si era affermata ad Ascona grazie agli architetti germanici, Weidenmeier, Fahrenkampf e altri e in Italia, specificamente a Como, con Terragni, Cattaneo, Figini, Pollini, … che avevano degni proseliti in Ticino con Franconi, Amadò, Guidini, Bernasconi, Tami, Brunoni, Jäggli, ecc.
A quel tempo i nostri reazionari e fascisti pretendevano il ritorno allo stile (!!!STILE!!!) Lombardo!!! (possibilmente bucolico)
La villa è stata importata in Ticino, all’inizio dell’800, dagli emigranti di ritorno che avevano fatto fortuna, in Italia, in Francia, nelle Americhe.
M’impressionano soprattutto quelle costruite nelle nostre valli. Quadrate, ben piantate nel terreno, a lato del nucleo o lungo la strada, normalmente caratterizzano un parco, spesso con essenze esotiche.
A Bellinzona è esemplare il parco con la villa dei Cedri e il parco con la villa Bonetti in stile moresco.
In contrasto con le costruzioni tipiche del tempo, la villa è autoreferenziale.
Con la pianta quadrata, le facciate simmetriche, esprime assolutismo, soprattutto se l’entrata è al centro, sulla facciata principale.
Dalla fine del ’800 questa tipologia caratterizza i nuovi quartieri imperniati su un reticolo di strade ortogonali con marciapiedi. A Bellinzona i quartieri di San Giovanni e di via Vincenzo Vela. Esemplare il Quartiere Rusca di Locarno (1898) fortemente influenzato dal “Piano Cerdas” di Barcellona (1859).
Questo progetto prevedeva la costruzione di edifici sul limite dell’isolato con corte interna.
Era possibile acquistare l’intero isolato o una sua metà o un suo quarto.
La vendita all’asta andò quasi buca; su quei terreni i borghesi di Locarno volevano costruire le proprie ville (immagino che con il Quartiere San Giovanni di Bellinzona sia successa la stessa cosa).
Di conseguenza il progetto è stato modificato. Si è permesso di costruire la villa nel mezzo della parcella circondata da alberi, possibilmente sempre verdi, per definire il volume dell’isolato. Era obbligatorio il muretto di cinta in pietra, 90 cm d’altezza, con sovrastante inferriata di 150 cm per definire la sezione della strada con marciapiedi.

Questo modo di costruire esprime un sentimento settario in netto contrasto con lo spirito espresso dagli edifici contigui costruiti sul limite della strada o della piazza (con o senza marciapiedi).
Non è facile trovare contenuti adeguati che ne permettano il restauro o la ristrutturazione coerente.
Importante non è salvaguardare un edificio antico ma sostituirlo con uno di maggior pregio, rispettoso del contesto.
Questo mito della villa, poi villetta, villino, casina, casetta, è alla base del degrado del nostro territorio pervaso dalla periferia.

Il cittadino vive in città, il villano nel villaggio, il paesano in fattoria o nel villaggio, tutti gli altri in periferia.

Il Ticino è tutto una periferia che fagocita tutto, anche i nuclei dei villaggi e dei borghi, tranne le cime delle montagne, i corsi d’acqua e i boschi che sono protetti dalla Legge federale urgente.

Tutto una periferia che considero cancerogena, non necessariamente perché provoca il cancro, è ancora da dimostrare, ma perché si sviluppa come un cancro.

Per capire lo sfacelo dobbiamo capire il mito della casetta nel giardino.

Nel XVI secolo il feudale viveva ancora nel castello e la plebe nel villaggio, nel borgo o in città.

Con il progredire delle armi da fuoco pesante (l’artiglieria) il castello perde la sua funzione e il feudale si rifugia nella “Villa” (autoreferenziale) dentro un grande parco. (la plebe nel villaggio, nel borgo o in città)

Grazie all’architetto Andrea Palladio (1508-1580) questa tipologia (la villa palladiana) ha un successo enorme e si diffonde in Europa, in Inghilterra, nelle Americhe.

Caduti il feudalesimo e le signorie (apparentemente) se ne sono appropriati i borghesi, poi i piccoli borghesi e anche il ceto medio e anche la classe operaia che non si chiama più così e neanche più proletariato.
In un continuo processo di riduzione le ville sono diventate villette, villotte, villini, casine, casette dentro parchi sempre più ristretti che non sono neanche più giardini ma strisce di terra con erba, cespugli, piante, fiori, ed anche nanetti stupefatti, circoscritti dai più svariati tipi di recinto con cancello (buca lettere, videocitofono e sofisticati congegni d’allarme).
Una marea (d’illusioni) come di rifiuti che ricopre tutto. Tutto un non-luogo, dunque utopia.
Democratica espressione di una società settaria, individualista, narcisista, edonista, consumistica, … che si “interroga” sui motivi di tanta solitudine.

Emarginare le persone, tutte le persone, nella solitudine è una condizione imprescindibile per far proliferare il
sistema consumistico; e ne siamo tutti doppiamente vittime.

Dopo la seconda guerra mondiale, in Ticino, la popolazione abbandona i nuclei dei villaggi e dei borghi perché li identifica con la miseria: costruzioni fatiscenti, i servizi igienici precari, per l’acqua s’andava alla fontana ma, soprattutto, un sistema patriarcale asfissiante. Nello stesso periodo si diffonde l’idea della casetta nel giardino, con l’acqua in casa, moderni servizi igienici, la cucina americana, il riscaldamento centralizzato.
Questo fenomeno è dovuto anche al fatto che la campagna ha perso il suo fondamento di sussistenza.

L’automobile ha accentuato la diffusione delle casette, poi delle palazzine, nei giardini; con rampa d’accesso ai posteggi interrati.

Noi, architetti, meglio presunti tali, abbiamo colpe gravissime.

La prima è di accettare la delega della gestione urbanistica e architettonica del territorio ai pianificatori, che non sono urbanisti, in maggioranza neanche architetti, e neanche si rendono conto di essere figli dei “piani quinquennali Russi” (e lì dovrebbero restare, al calcolo delle quantità).

Pianificatori che si permettono di proliferare un’infinità di normative, presuntamente divine, che non hanno mai avuto rapporti con modelli urbanistici e architettonici ma che uccidono l’architettura e l’urbanistica e distruggono il territorio tutto.

Pianificatori che non conoscono la differenza tra Regola e Norma (ma lo stesso vale per i presunti architetti, che non si rendono conto di essere, nella migliore delle ipotesi, dei “designer”)

Dovendo accettare quelle norme (distanze da confini, da strade, da altre costruzioni, ecc.) non puoi progettare altro che oggetti che, anche se fossero tutti straordinari, il risultato è li da vedere: l’effetto discarica.

necrofilia:
s. f. [comp. di necro– e –filia, sull’esempio del fr. necrophilie].
Deviazione sessuale, molto rara, consistente nell’attrazione verso cadaveri, che si accompagna spesso ad altre gravi

Il traffico

Il traffico privato

L’automobile è il problema più dirompente;
ha favorito l’urbanizzazione dispersiva su tutto il territorio con costi assurdi che ci rifiutiamo di quantificare, consuma un’enormità di spazio, inquina.
Il traffico è al collasso e non abbiamo né lo spazio né le risorse per nuovi investimenti.

Ciononostante il nuovo svincolo autostradale su via Tatti avrebbe effetti molto positivi;
tre le condizioni indispensabili:

.1 lo svincolo dev’essere completo (con il nuovo progetto a ciambella è facile da realizzare).
.2  un migliaio di posteggi di attestamento, ombreggiati con alberi, tra il Dragonato e via Tatti, da via Zorzi fino al fiume Ticino. Sarà una bella vista sui castelli per chi entra da via Tatti.
.3  Bellinzona deve diventare la prima città Svizzera a traffico lento; 30 km/ora sugli assi di penetrazione, 20 km/ora sul resto del territorio. Tutto pedonale, tutto ciclabile.
(altro che costruire ciclopiste)

Ambulanze, polizia e pompieri, attivando le sirene, potranno viaggiare a velocità di molto superiori.

Questo terzo svincolo autostradale riduce notevolmente anche il traffico attraverso Giubiasco per cui si può togliere la strada che attraversa la Piazza Grande di Giubiasco, convogliando il traffico da via Zorzi sul viale 1814 e su via al Ticino (vedi capitolo relativo a Giubiasco).

Sarebbe più utile mettere in galleria l’autostrada da Galbisio (all’altezza dell’area di servizio autostradale) fino a Sementina sud e poi attraversare perpendicolarmente il fiume Ticino per ricollegarsi all’autostrada esistente prima dello svincolo sud.
Così si toglie l’inquinamento, soprattutto fonico, che disturba tutta Bellinzona, fino su ad Artore, si rimette in valore il cono di deiezione di Montecarasso e Sementina, si liberano terreni preziosi e si ripristina l’accesso al fiume.
E’ una proposta che avevamo formulato in occasione del “Seminario ArgeAlp” che si era svolto nel 1992 al Monte Verità di Bellinzona nel 1992.
Ci hanno considerato dei pazzi però, contemporaneamente, hanno approvato la galleria di circonvallazione di Roveredo Grigioni. (???)
Oggi non ci sarebbero più le risorse necessarie all’opera.

Bellinzona prima città lenta della Svizzera?

I bellinzonesi non s’interessano del Programma di Agglomerato (PA) di terza generazione. Alle autorità, ai politici e ai tecnici preposti va benissimo così!
Però che i cittadini e soprattutto i piccoli e medi proprietari immobiliari se ne disinteressino ha conseguenze gravissime. Non vi rendete conto come grossi capitali, in primis quelli delle Casse Pensione e di strani stranieri, vi stiano bruciando il mercato?

I PA sono nuovi strumenti per distribuire sussidi e investimenti, cantonali e federali, canalizzandoli in modo coerente.
La Confederazione, correttamente, considera il traffico individuale motorizzato, che attanaglia tutte le città svizzere, il problema predominante.

Si sa che il traffico è dovuto al tipo di urbanizzazione che accettiamo acriticamente da almeno 50 anni: centri urbani “colonizzati” dal terziario e dai commerci, soprattutto di lusso, con prezzi e affitti alle stelle e la popolazione costretta ad abitare sempre più lontano, sparpagliata su tutto il territorio.
A questo fenomeno contribuisce il mito, settario, della casetta unifamiliare con giardino (costi e benefici: chiediamoci quanto tempo trascorriamo nel nostro giardino? … e in automobile?).

Con i PA si vogliono modificare queste tendenze, favorendo un’urbanizzazione centripeta, in contrapposizione a quella attuale, che è centrifuga. Significa riportare la popolazione in centro, densificando le aree a ridosso dei nuclei, prossime ai nodi di traffico pubblico, soprattutto alle stazioni ferroviarie.

I tecnici e i politici delegati si adoperano per la stesura di moltissimi progetti, soprattutto a favore dell’incremento del traffico lento, pedonale e ciclabile, e del traffico pubblico, ferro e gomma, meno della moderazione del traffico veicolare. E per l’urbanizzazione centripeta?
Ho la suffragata convinzione che questi progetti siano pensati per imbroccare un sussidio federale piuttosto che per andare alla radice dei problemi.

Anche il PAB 3 ammette che il traffico individuale motorizzato è prossimo alla saturazione, per non dire al collasso ma, paradossalmente, non tiene conto che verrà costruito un terzo svincolo autostradale.
I tecnici, i politici e la popolazione del bellizonese non si rendono conto che con questa nuova infrastruttura, che alle entrate da via San Gottardo e da via Zorzi ne aggiungerà una terza, da via Tatti, qualsiasi automobilista percorrerà meno di 1 km per raggiungere la propria destinazione; quindi tutti a 20 km/h (30 km/h sugli assi di penetrazione).

Sono contrario a ulteriori investimenti che privilegiano l’uso dell’automobile, ma il nuovo svincolo autostradale permetterà a Bellinzona di diventare la prima città svizzera a traffico lento, pedonale e ciclabile. I cittadini avrebbero la priorità sulle automobili!
Vantaggi e privilegi enormi per la Città e ragazzi e bambini di nuovo a giocare in strada e in piazza.

ReMa

Eliminare la via Giuseppe Lepori

Con una nuova passerella, pedonale e ciclabile, alla Torretta e considerando la passerella tra Bellinzona Nord (via Ripari Tondi) e Galbisio, si può eliminare la via G. Lepori, da sempre deturpante in mezzo a quest’area che dovrebbe essere il Grande Parco Attrezzato.
(vedi capitolo “Bellinzona. Un edificio Pubblico sul ponte che era di via Giuseppe Lepori”)

Posteggi

Le automobili inquinano di più quando sono ferme che quando viaggiano, difatti, per posteggiarle abbiamo distrutto palazzi, case, stalle, snaturato piazze, strade, vicoli e sentieri, coperto corsi d’acqua, scavato grosse buche sotterranee sotto piazze, palazzi, parchi e altro. Su tutto il territorio c’è il pericolo d’essere disturbati o investiti da automobili che, in attesa di trovare posteggio, formano colonne.
Ci vorrebbe uno studio serio sui costi di un posteggio considerando che ce ne sono almeno tre per ogni veicolo: uno a casa, uno all’ufficio e diverse frazioni di posteggio al supermercato, al centro commerciale, al centro sportivo, al centro culturale, ecc.
Un posteggio occupa almeno 13 metri quadri, che è una superficie maggiore del minimo richiesto per una camera d’appartamento con 2 letti (12 mq secondo le generose norme per appartamenti sussidiati) e non sono considerate le superfici di accesso e di manovra. Tutti devono avere la possibilità di scaricare persone e materiali davanti a casa ma i posteggi dovrebbero essere pubblici e raggruppati, a debita distanza dall’abitazione o dal luogo di lavoro.

In genere le strade sono troppo larghe e, utilizzando gli arretramenti, sarebbe facile trasformarle in viali alberati con posteggi a 90 o 60 gradi con marciapiedi larghi.

Trasporti pubblici

La messa in esercizio della galleria ferroviaria del Monte Ceneri comporterà un incremento importante e un cambio epocale del trasporo pubblico in Ticino.
Bellinzona dovrà investire per poter approfittare al meglio di questa infrastruttura.
Oltre alla Stazione Tilo in Piazza Indipendenza si dovrà pretendere Stazioni Tilo anche alla Saleggina, a San Paolo e forse anche ad Arbedo e si dovranno riqualificare i diversi comparti.

* vedi articolo “Città, il potenziale delle nuove fermate Tilo

Conclusione alle premesse

Il tipo di urbanizzazione che accettiamo acriticamente da almeno 60 anni è la vera causa del dissesto o disastro economico e finanziario dei nostri Comuni, Cantoni e della Confederazione!
Altro che i costi della sanità, della socialità e del lavoro messi insieme!
Ci lamentiamo dei costi della sanità ma questa risuscita anche i morti.